Gamboni, non c’è due senza tre…

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Tommaso Gamboni (foto di Mauro TOPINI) – © RIPRODUZIONE RISERVATA

Otto gol e quattordici assist dopo le prime 14 giornate di campionato, accompagnati da una serie di prestazioni pregevoli che hanno contribuito alla corsa, finora praticamente impeccabile, della sua Lupa Castelli Romani. D’altronde, Tommaso Gamboni non è una sorpresa, dal momento che nella sua carriera ha già vinto il campionato di Eccellenza due volte, con le maglie dell’Anziolavinio e del San Cesareo. E non a caso è considerato dalla maggioranza degli addetti ai lavori l’esterno più forte della categoria, al punto che sono in molti a chiedersi come sia possibile che giochi in Eccellenza.

Proprio lui, che da ragazzino aveva bruciato le tappe trovandosi giovanissimo ad esordire in serie C1, con una casacca “pesante” come poteva essere quella della Viterbese di qualche anno fa. Oggi, però, non ha alcun rimpianto, se non quello di non aver avuto la testa giusta al momento giusto, e se gli chiedi qual è il suo prossimo obiettivo ti risponde che punta a smettere il prima possibile, perché sono troppe le cose del calcio che proprio non riesce a mandare giù…

L’esordio in Eccellenza arrivò quando eri ancora giovanissimo, con la maglia dell’Acilia. Al primo anno realizzasti 10 gol, che ti portarono dritto alla Viterbese in serie C1. Che ricordi hai?

Bellissimi, nonostante tutto. Ero veramente un ragazzino e venivo da una situazione in cui giocavo tutte le partite, mentre a Viterbo mi trovai a stare fuori, e per me non era per niente facile. Con il tempo però iniziai ad adeguarmi alla categoria e ben presto arrivò l’esordio. Dopo appena 10 minuti feci gol, incredibile… Giocavamo in trasferta contro la Vis Pesaro, il mister mi mandò in campo come seconda punta; arrivò un cross in area, io chiusi gli occhi e schiacciai di testa. La palla entrò, io impazzii, mio padre in tribuna per poco non si sentì male… Sono istantanee che resteranno per sempre impresse nella mia mente.

Dopo Viterbo hai indossato le maglie di Potenza, Ostiamare, Penne e Vis Artena, per poi arrivare ad Anzio, dove ti ricordano ancora con grande affetto, come uno degli eroi della promozione in serie D…

Quella di Anzio è stata un’esperienza stupenda, forse quella che ricordo con maggior affetto tanto che ancora oggi sono molto legato alla famiglia Rizzaro e alla maggior parte dei compagni di allora, con i quali costruimmo un gruppo straordinario. Anche a livello personale, in quegli anni ho imparato tanto: se prima di allora consideravo il calcio soprattutto come una fonte di guadagno, in quel momento diventò altro, e a fine stagione scelsi di rimanere, anteponendo le questioni affettive a quelle economiche.

Dopo Anzio ecco San Cesareo, con il secondo trionfo personale in Eccellenza.

Per certi versi ho ricordi bellissimi di quella stagione, perché ad Anzio eravamo una buona squadra, che però vinse soprattutto grazie al gruppo che si era formato, a San Cesareo invece eravamo fortissimi. Nonostante la vittoria del campionato, le cose non sono andate come speravo e non trovai l’accordo per rimanere anche l’anno successivo. In quel caso mi sarei aspettato una maggiore considerazione dall’allenatore, Ferazzoli, che però non c’è stata. Allora ci rimasi piuttosto male, oggi ti dico che purtroppo questo è il calcio…

Dopo una nuova parentesi a Viterbo, l’avventura alla Cynthia, con una salvezza che ha del miracoloso, visto l’avvio disastroso della squadra di Genzano…

Quell’esperienza mi ha lasciato tanto, perché gran parte di quello che abbiamo costruito lo scorso anno alla Cynthia lo abbiamo ritrovato a Frascati con il progetto della Lupa Castelli Romani del presidente Virzi. Quella salvezza è stata la vittoria del gruppo, perché pur essendo consapevoli di non essere una delle squadre più forti del girone, avevamo più fame degli altri e volevamo a tutti i costi salvarci. Ce l’abbiamo fatta, arrivando addirittura ad una manciata di punti dai play off. Sull’ossatura del gruppo dello scorso anno è nata la Lupa, e nonostante l’obiettivo sia diverso, abbiamo mantenuto quella stessa fame di vittorie.

Sentite su di voi la pressione di dover vincere per forza?

Sì, decisamente, e sappiamo di non poterci permettere passi falsi. Le pressioni aiutano a mantenere sempre alta la concentrazione, a non perdere di vista l’obiettivo: anche se tutti danno per scontato che nel nostro girone si debba lottare solo per il secondo posto, noi sappiamo che il campionato è difficile e che in alcuni casi anche un pareggio è da considerarsi come una sconfitta, perché siamo troppo più forti degli altri. No, non è presunzione, ma obiettività, anche se rimaniamo sempre consapevoli che non sarà una passeggiata da qui a fine stagione.

In 14 giornate hai già realizzato 8 gol e ben 14 assist, ti aspettavi di andare così bene?

Il modulo di mister Gagliarducci è molto offensivo e il rendimento dei singoli dipende sempre da quello della squadra. A livello personale sono contento di come stanno andando le cose, ma anche se può sembrare una frase scontata è importante tenere in considerazione i risultati del gruppo. Nella Lupa ci sono molti giocatori di spessore, ma non ci sono primedonne. Tutti anteponiamo il bene della squadra a quello dei singoli. Io non mi pongo obiettivi per la stagione, anche se ovviamente spero di essere più utile possibile alla squadra per vincere per la mia terza volta il campionato di Eccellenza.

Fuori dal campo, sei un ragazzo di nemmeno 30 anni già padre di due figli. Ci racconti il Gamboni privato?

Da circa 3 anni condivido la vita con la mia compagna Michela, che ho conosciuto durante il mio primo anno ad Anzio. Lei è di Acilia come me; abbiamo due bambini piccoli, Alessandro di un anno e mezzo, ed Edoardo di tre. Lui è già il mio primo tifoso: se gli chiedi cosa vuole fare da grande risponde “il calciatore, come il mio papà”. Per lui sono come Cristiano Ronaldo, e per me è una gioia incredibile sapere di essere il suo modello. Quando sono a casa passo volentieri il mio tempo con loro, ci gioco, mi diverto. E loro ovviamente preferiscono stare con me piuttosto che con la mamma, perché gli faccio fare come gli pare!

Facendo un bilancio, il calcio ti ha dato o tolto di più?

Mi ha dato parecchio anche a livello di insegnamenti di vita. In confronto ai miei coetanei, io sono sicuramente cresciuto prima, perché quando giochi a calcio a 18 anni qualche fregatura l’hai già presa, e devi maturare per forza per evitare di continuare a prenderne. Devi imparare a capire di chi puoi fidarti e di chi no, ed io penso che sotto questo punto di vista difficilmente mi sono sbagliato.

Rifaresti il calciatore se tornassi indietro?

Sì, perché questo è lo sport più bello del mondo, ma magari lo rifarei evitando tutti gli errori che ho fatto quando avevo 18 anni. Oggi mi rendo conto che per un ragazzino di quell’età alzarsi in piedi e dire al proprio allenatore che non capisce niente perché non fa giocare un tuo compagno e amico (Perrulli, ndr) che secondo te è fortissimo non è proprio il massimo; anche perché, giustamente, poi sono stato messo fuori rosa e a Viterbo ho buttato via 2 anni di contratto…

Qual è il tuo obiettivo per il prossimo futuro?

Sinceramente, vorrei smettere il prima possibile, perché per molti aspetti a me questo mondo non piace. Il calcio rimane il gioco più bello che c’è, ma a volte succedono delle cose che ti fanno passare la voglia di viverci dentro. Non c’è riconoscenza, perché finché vai bene sono tutti amici, ma quando si spengono i riflettori non sei più nessuno, e questo non mi piace…

testo di Guendalina Fortunati