Driiiiinnn!!!!
Il braccio scivola lentamente da sotto le coperte come fosse un serpente e a tastoni cerca di porre fine a quel suono fastidioso, al terzo tentativo blocco le lancette dell’orologio sulle sei e trenta. Oggi è domenica, si gioca a pallone.
Questo pensiero mi da la carica giusta per mettere i piedi a terra e iniziare questa meravigliosa giornata. In cucina trovo già la mamma che mi sta preparando la colazione.
“Mi raccomando mamma, leggera e nutriente “.
“Caffè e latte, fette biscottate e marmellata … come sempre”, mi risponde con voce calma e pacata.
Oggi inizia il campionato, la mia prima partita ufficiale della stagione, quest’anno gioco con gli allievi regionali.Mi sono preparato fisicamente con scrupolo a questo appuntamento, tre volte a settimana allenamenti sul campo con gli altri miei compagni. Scatti improvvisi, corsa di fondo per fare il fiato, cambi repentini di direzione e di posizione. Direi che sono pronto. Accelero le pratiche in bagno, non vorrei fare tardi proprio oggi, devo essere puntuale, magari anche in anticipo.
“La puntualità è sinonimo di serietà e precisione”, ci dice sempre il nostro istruttore in sede quando settimanalmente ci incontriamo. “Dove giochi oggi?“, mi chiede la mamma.
“Oggi gioco sul campo al Prenestino. La partita inizia alle dieci e mezza, devo essere lì almeno un’ora prima”, le rispondo.
“Vuoi che ti accompagni con la macchina”
“No, mamma sai bene che quando gioco a Roma preferisco raggiungere il campo con i mezzi pubblici, non è lontano”.
“Hai già preparato la tua roba?”
“Sì, mamma stai tranquilla è tutto pronto. Già nel pomeriggio di ieri ho preparato il borsone perché dopo dovevo uscire con Lucia”.
Consumo la colazione in compagnia della mamma mentre ci raggiunge anche papà. “Ciao campione, come ti senti oggi”
“Bene papà, sono motivato a dovere, farò una bella partita”
Papà da giovane ha giocato con discreti risultati in Prima categoria, poi il lavoro, il matrimonio e soprattutto l’età che avanzava hanno segnato un diverso cammino. Torno in camera mia e ricontrollo il mio borsone: sapone, shampoo, asciuga-capelli, scarpette, completo da gara, asciugamano, accappatoio. C’è tutto. Mentre richiudo, mi sorprende la voce di mamma
“Aspetta, metti dentro anche questa frutta, un pezzo di crostata e una barretta di cioccolata, dopo la gara ti saranno senz’altro utili”
“Grazie mamma, sei sempre così premurosa”, le rispondo con un po’ di insofferenza.
“Stai attento, non prendere freddo dopo la gara, e cerca di non farti male”
Sempre preoccupata mia madre. Sono anni che gioco al calcio, e tutte le volte mi raccomanda sempre le stesse cose. Ma la capisco e le voglio bene. Ricordo quando da piccolo mi accompagnava al campo vicino casa per farmi giocare al pallone. Io rincorrevo quel pallone più grande di me, sempre sotto gli occhi vigili dell’istruttore; ma soprattutto sotto lo sguardo apprensivo di mia madre. Talvolta mi accompagnava mio padre, ma lui mi osservava con altri occhi. Mi guardava e già sognava per me grandi traguardi, però non mi ha mai stimolato più del dovuto, mi ha fatto sempre giocare in piena tranquillità aiutandomi con frasi gratificanti e rassicuranti.
Saluto i miei e mi avvio verso il capolinea del 60. Poca strada a piedi. Oggi è domenica e alle otto non c’è molta gente in giro. Il cielo è leggermente coperto ma non minaccia pioggia. Meglio così, perché quando piove si fa più fatica a giocare a pallone. E’ leggermente fresco ma sono ben coperto.
Aspetto sotto la pensilina che il mio autobus arrivi, non sono solo, altre persone attendono. Eccolo arriva, lungo e vuoto, forse è alla sua prima corsa festiva. Resta alcuni minuti in attesa di passeggeri e dell’orario stabilito, poi l’autobus parte verso la mia destinazione. Il percorso lo conosco a memoria: Piazza Primoli, via Ugo Ojetti, via Nomentana, piazza Sempione. Mi concentro per qualche attimo sui miei pensieri, poi giro e lo sguardo e lo vedo in strada, vicino.
“Ma quello è Marcuzzi !?!”, esclamo quasi senza accorgemene. Con Marcuzzi abbiamo incominciato a giocare alcuni anni fa negli esordienti; lui era molto bravo, più bravo di me. Con noi c’era anche un certo Antonelli, giocava in difesa, era bravo ma era anche un gran burlone, quanti scherzi e quante risate ci facevamo prima e dopo le partite, anche se perdevamo lui ci metteva sempre di buon umore.
Con lui un altro ragazzo che conosco solo di vista. Entrambi hanno un borsone sulle spalle, leggo la scritta della loro società. Chissà su che campo giocano oggi. Anche Marcuzzi ama il pallone come me. In campo fa grandi giocate, l’ho visto realizzare delle reti bellissime: è proprio forte.
Il nostro istruttore era un certo De Virgili, che non vedo da molto tempo. A lui devo la passione che ancora oggi mi accompagna. Era veramente affettuoso nei nostri confronti, non ci chiedeva mai di strafare.
“Ricordatevi che è solo un gioco – ci diceva – divertitevi e con il tempo diventerete tutti dei campioni, se non di calcio, sarete campioni nello studio, rispettate gli altri e ricevere rispetto. Gioite per le vostre vittorie ma non mortificatevi più di tanto delle sconfitte, fanno parte della vita di tutti i giorni, l’importante è fare sempre del vostro meglio”.
Il 60 si ferma in piazza Sempione, ma Marcuzzi e il suo amico non salgono. Non faccio neppure in tempo a salutarli perchè parlano tra loro e non si accorgono della mia presenza sul mezzo che li affianca mentre riparte. Torno ai miei pensieri, al pomeriggio trascorso con Lucia, la mia fidanzata, anche lei è appassionata di calcio. Oggi non potremo vederci e penso che forse le chiedo troppi sacrifici per soddisfare la mia passione.
Ieri sera eravamo con amici, in un pub, naturalmente. Io ho bevuto solo aranciate mentre tra i miei amici giravano alcune birre. A me non è costato sacrifici, ma a volte mi sembro un estraneo. “Mi raccomando, la sera prima della gara niente stravizi e a dormire presto”, mi diceva sempre uno dei miei primi istruttori. Così, verso le dieci ho fatto un cenno a Lucia e lei, leggendomi il pensiero, si è alzata e con una battuta mi ha aiutato nell’uscita di scena dalla serata.
“Miei cari amici noi dobbiamo andare, perché domani giochiamo e ci dobbiamo alzare presto”
L’aver usato il plurale, quel ‘noi’, anche se forse aveva un tono ironico, mi ha confortato. La sua condivisione è massima, capisce il mio amore per il pallone, e per questo credo di essere stato fortunato ad incontrare una ragazza come lei.
Lucia è la sorella di un mio compagno di scuola. Ci siamo incontrati alla festa di compleanno di Andrea, suo fratello, tre anni fa. E’ nata subito una simpatia reciproca ma solo da un anno ci frequentiamo con assiduità. Quanti sabati e domeniche non trascorsi insieme per questa mia passione. Talvolta mi viene a vedere mentre gioco, ma lo fa di nascosto e mi aspetta fuori dall’impianto sportivo a fine gara. Io provo un grande tuffo al cuore quando la vedo e sento di volergli ancora più bene.
Devo scendere, sono arrivato a viale Regina Margherita. Da qui devo prendere un altro mezzo, il 19, direzione largo Preneste. Eccolo, arriva, non è pieno ma ci sono ancora posti a sedere, e mentre mi accomodo riparte. Basilica di San Lorenzo, porta Maggiore, via Prenestina…
Guardo l’orologio. Sono in perfetto orario, anzi sono in anticipo, meglio così.
Il 19 è un tram, sferraglia sui binari e agli incroci il manovratore sollecita la campanella per avvertire del suo passaggio. Eessere su un tram, seppur dalla linea e dalla tecnologia moderna, mi crea sempre una grande gioia, è come se andassi su un treno d’altri tempi.
Ecco largo Preneste. Scendo e mi avvio a piedi verso l’impianto sportivo, fondo sintetico di ultima generazione. Quando arrivo trovo solo il custode ed alcuni dirigenti della squadra locale. Mi salutano e subito mi indicano lo spogliatoio. Ne approfitto ed entro. Apro il mio borsone e tiro fuori le mie cose.
Meglio che sia arrivato in anticipo, così posso prepararmi con calma e fare un buon riscaldamento. E’ un’abitudine che ho sempre avuto, perché mi aiuta a ridurre il rischio di strappi o infortuni muscolari. Appena ho indossato i calzoncini e la maglietta, esco sul campo. Mi faccio diversi giri di campo con una corsetta prima leggera e poi sempre più impegnativa, intramezzata da alcuni esercizi di streccing per sciogliere tutti i muscoli del corpo.
Mentro corro, vedo arrivare gli altri ragazzi che scenderanno con me in campo per giocare la partita. Alcuni li conosco, altri hanno facce nuove. Qualcuno si lascia sfuggire anche un commento ironico sulla mia presenza così anticipata, ma non gli dò peso. Rientro negli spogliatoi. Mi tolgo la maglietta di allenamento, mi rinfresco e indosso la maglia per la partita: bella, stesso colore dei calzoncini e dei calzettoni. Mentre completo la vestizione, mi accorgo di attendere con impazienza che si dia inizio al riconoscimento dei calciatori del pre-gara e che poi si cominci a giocare.
Io amo questo sport, mi piace stare in campo, correre e vedere l’esultanza dei calciatori che segnano una rete. Sono anni che lo pratico, come tutti sogno categorie superiori, arrivare in serie A. E’ il sogno di tutti noi, ma se così non sarà andrà bene lo stesso, l’importante e giocare e divertirsi. L’emozione che si prova quando la rete si gonfia, e la delusione di quando il portiere riesce a parare un tiro che tutti già vedono in rete, in fondo è la stessa.
Ecco ci siamo, manca poco, i dirigenti delle squadre hanno pronte le liste di gara e tutti i calciatori in fila si sottopongono al riconoscimento uno per uno. Vedo alcuni volti tesi, mentre altre facce sono sorridenti. Ognuno di noi pensa a come poter dare il meglio di se stessi in mezzo al campo. Di come sfruttare al meglio i propri mezzi tecnici.
Entriamo in campo, sugli spalti il tifo si fa sentire. Sono sopratutto i genitori dei ragazzi a incoraggiare tutti noi. A forza di frequentare i campi di calcio, mi sembra di conoscere anche quei volti, quel pubblico che in ogni campo in realtà cambia. Dentro di me spero che tutto fili liscio. “Ma si, tranquillo, tutto filerà liscio“, mi ripeto.
E’ ora. La gara sta per cominciare.
Ci disponiamo su due file ed entriamo in campo correndo. Alcuni toccano il terreno in segno di scaramanzia, altri si segnano la fronte e il petto. Raggiungiamo il centrocampo mentre il pubblico applaude.
E’ la prima gara della stagione, il cuore batte forte in tutti noi, ma non c’è posto per l’emozione, fra poco si gioca.
Viene sorteggiata la squadra che deve scegliere il campo.
Salutiamo tutti il pubblico, si salutano i capitani, ci salutiamo tutti prima dell’inizio.
Ci siamo, ogni squadra si dispone sulla propria metà campo.
Io verifico che tutti i ragazzi siano al proprio posto. Consulto il mio cronometro e lo faccio scattare. Nello stesso momento mi porto il fischietto alla bocca e soffiandoci dentro dò inizio alla gara.
Franco Di Fazio
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